Cloud computing essendo ormai roba del 2011, il big data diventerà un termine chiave nel settore IT per il 2012. Tuttavia, per quanto comprendiamo i nostri clienti del retail, esiste una fonte di dati che contiene oltre il 90% del valore informativo totale in loro possesso: i dati del market basket (accompagnati, quando disponibili, dalle informazioni della fidelity card).

Per qualsiasi rete di vendita al dettaglio medio-grande, il valore informativo dei dati del market basket supera di gran lunga tutte le altre fonti di dati alternative, siano esse:

  • Dati video in-store, che rimangono difficili da elaborare e sono principalmente destinati alla sicurezza.
  • Dati dai social media, che sono molto rumorosi e riflettono tanto l’implementazione di bot quanto i comportamenti umani.
  • Report degli analisti di mercato, che richiedono la risorsa più scarsa in assoluto: l’attenzione della direzione.

Tuttavia, oltre alle proiezioni di vendita di base (ovvero le vendite per prodotto, per negozio, per regione, per settimana …), osserviamo che, a partire da gennaio 2012, la maggior parte dei rivenditori fa pochissimo con i propri dati del market basket. Persino la previsione per l’ottimizzazione dell’inventario è tipicamente nient’altro che una variante della media mobile a livello di negozio. Metodi più elaborati vengono impiegati per i magazzini, ma in quel caso i rivenditori non sfruttano più i dati del market basket, bensì le spedizioni passate dai magazzini.

I fornitori di Big Data promettono di portare ai loro clienti un livello di capacità di elaborazione dati senza precedenti, per consentire loro di sfruttare tutto il potenziale del loro big data. Ma porterà davvero ciò a cambiamenti redditizi per i rivenditori? Non necessariamente.

La capacità di storage esposta sugli scaffali di un ipermercato medio con oltre 20 hard disk esterni in mostra (supponendo 500GB per drive) tipicamente supera lo storage grezzo necessario per conservare l’intera cronologia di 3 anni di una rete di 1000 negozi (cioè 10TB di dati del market basket). Quindi, lo storage dei dati grezzi non è un problema, o almeno, non è un problema costoso. Successivamente, l’I/O dei dati (input/output) rappresenta una questione più impegnativa, ma ancora una volta, scegliendo una rappresentazione dei dati adeguata (i dettagli andrebbero oltre lo scopo di questo post), difficilmente costituirà una sfida per il 2012.

Osserviamo che la sfida più grande posta dal Big Data è semplicemente la necessità di risorse umane per fare qualcosa di operativo con esso. In effetti, i dati sono principalmente “big” nel senso che le risorse aziendali, per eseguire il software di Big Data e per implementare qualunque suggerimento ne emerga, sono scarse.

Produrre un muro di metriche dai dati del market basket è facile; ma è molto più difficile costruire un insieme di metriche che valga il tempo dedicato alla loro lettura, considerando i costi orari dei dipendenti.

Per quanto comprendiamo i nostri clienti del retail, la limitazione in termini di personale spiega da sola perché così poco venga fatto regolarmente con i dati del market basket: se da un lato le CPU non sono mai state così economiche, dall’altro il personale non è mai stato così costoso.

Pertanto, crediamo che i successi del Big Data nel retail saranno ottenuti tramite soluzioni snelle che considerino, non la potenza di elaborazione, ma le persone, come la risorsa più scarsa in assoluto.


Commenti dei lettori (1)

Joannes, sono impressionato dal lavoro che stai facendo. Se non l’hai ancora fatto, dai un’occhiata a cosa QlickView ha da offrire in termini di “business intelligence” o “business discovery”. La piattaforma è veramente veloce e avanzata nel trasformare i dati in conoscenza. Sono sicuro che potrai imparare qualcosa da loro. Ma sì, i numeri non parlano da soli neanche nel Big Data, per cui il vincolo del personale non può essere del tutto eliminato. Saluti Ali (5 anni fa)