00:00:07 Introduzione e discussione sui cambiamenti di paradigma nella pianificazione della supply chain.
00:00:51 Il background del Professor David Simchi-Levi, il suo lavoro accademico e le aziende che ha avviato.
00:02:43 Nuovo corso sulla pianificazione della domanda e analitica; focus su digitalizzazione, analitica e automazione.
00:04:22 Bilanciare l’efficienza e la resilienza della supply chain, e le sfide nella misurazione della resilienza.
00:07:08 Valutazione del rischio nelle supply chain e l’importanza dei calcoli guidati dalla macchina rispetto all’intuizione.
00:09:47 Prevedere lo stato della supply chain con settimane di anticipo.
00:10:20 Il lavoro del team del MIT sulla resilienza della supply chain e la previsione delle pandemie.
00:12:15 KPIs vs. KPPs e l’importanza dei dati predittivi.
00:15:35 Accogliere l’incertezza e le diverse probabilità nelle previsioni.
00:18:10 Tempo per sopravvivere e identificare rischi nascosti e opportunità di risparmio sui costi.
00:19:32 L’importanza del machine learning spiegabile nel processo decisionale.
00:20:56 Il ruolo dei Supply Chain Scientist nella definizione di metriche spiegabili.
00:24:17 Le sfide affrontate dalle aziende nel gestire le previsioni black box.
00:25:51 Le leggi della fisica nella supply chain e la loro importanza.
00:27:34 Esempi delle leggi della fisica nella gestione della supply chain.
00:29:16 Discutere il dibattito scientifico e l’importanza delle basi matematiche nella costruzione di algoritmi e framework.
00:30:57 L’importanza della flessibilità nel design della supply chain e il suo impatto sul livello di servizio, sull’inventario e sul tempo di risposta.
00:32:29 Affrontare il compromesso economico nella flessibilità e la necessità di teorie fondamentali nell’ottimizzazione della supply chain.
00:35:44 Concentrarsi sui framework piuttosto che su soluzioni singole per far fronte alla natura in evoluzione delle supply chain.
00:37:18 Presentazione di quattro framework per la digitalizzazione della supply chain, a partire da una visione unificata della domanda.
00:38:14 Segmentazione della supply chain per strategie efficaci.
00:38:53 Focus su S&OP e data analytics per la pianificazione.
00:39:37 Jonas discute la complessità della domanda e dei sistemi enterprise.
00:43:01 Sfide nell’estrazione e nella comprensione dei dati della domanda.
00:45:36 Il passaggio dalle previsioni e pianificazioni ad artefatti numerici. {< timer “00:47:14” >}} Discussione sui decisori che si affidano agli esiti piuttosto che alle previsioni o ai piani.
00:48:22 Algoritmi emergenti nell’apprendimento e nell’ottimizzazione della supply chain, e tendenze negative.
00:49:33 Concetto erroneo di spostare la produzione più vicino alla domanda di mercato per aumentare la resilienza.
00:50:09 Integrazione del machine learning e dell’ottimizzazione, apprendimento offline e online.
00:53:22 Le sfide del software enterprise a più livelli e dei nuovi paradigmi algoritmici per semplificare i processi.
00:56:37 Discutere la complessità IT nella gestione della supply chain.
00:57:57 La necessità di strumenti per gestire concetti complessi come la resilienza e la gestione del rischio.
00:58:43 I vantaggi e le limitazioni di Microsoft Excel nel processo decisionale della supply chain.
00:59:30 La riluttanza a investire nella digitalizzazione della supply chain prima della pandemia.
01:00:20 L’opportunità di migliorare le prestazioni aziendali con un investimento moderato nella digitalizzazione della supply chain.

In questa intervista, Nicole Zint conduce una discussione con Joannes Vermorel, fondatore di Lokad, e il Prof. David Simchi-Levi, un professore del MIT, sull’ottimizzazione della supply chain e il ruolo della tecnologia nella presa di decisioni. Vengono enfatizzati l’importanza di bilanciare efficienza e resilienza, l’utilizzo dei dati, dell’analitica e dell’automazione per gestire i rischi. I Key Performance Indicators (KPIs) e i Key Performance Predictors (KPPs) vengono presentati come concetti essenziali per una presa di decisioni proattiva. Gli esperti discutono inoltre l’importanza della spiegabilità nell’AI, delle “leggi della fisica” nella gestione della supply chain, della flessibilità e dei compromessi economici tra flessibilità e modellazione. La conversazione mette in luce la necessità per le aziende di digitalizzare i loro business per affrontare le sfide e le opportunità future.

Riassunto Esteso

In questa intervista, la conduttrice Nicole Zint parla con Joannes Vermorel, fondatore di Lokad, e il Prof. David Simchi-Levi, un professore del MIT e autore di oltre 300 pubblicazioni, sull’ottimizzazione della supply chain e il ruolo della tecnologia nel processo decisionale. La discussione esplora i paradigmi dell’apprendimento e dell’adattamento nella gestione della supply chain, con un focus sull’integrazione di digitalizzazione, analitica e automazione.

Il Prof. Simchi-Levi sottolinea che lo stato attuale delle supply chain è nettamente diverso da quello di un decennio fa, e le aziende devono bilanciare efficienza e resilienza. Egli osserva che, mentre l’efficienza è facile da misurare attraverso strategie di riduzione dei costi, la resilienza è più difficile da quantificare. L’integrazione di dati, analitica e automazione gioca un ruolo cruciale nell’affrontare queste sfide, aiutando le aziende a identificare e mitigare i rischi nascosti.

Joannes Vermorel concorda sul fatto che il compromesso tra resilienza ed efficienza sia fondamentale, sottolineando la natura probabilistica della misurazione del rischio. Egli sostiene che il bias del sopravvissuto sia prevalente nelle valutazioni di mercato, rendendo difficile valutare l’entità completa dei rischi che le aziende devono affrontare. Vermorel evidenzia l’importanza di adottare un approccio basato sui calcoli eseguiti dalle macchine, invece di fare affidamento esclusivamente sull’intuizione umana.

Il Prof. Simchi-Levi introduce i concetti di Key Performance Indicators (KPIs) e Key Performance Predictors (KPPs). I KPIs si concentrano sullo stato attuale della supply chain, mentre i KPPs mirano a prevedere lo stato futuro della supply chain. Il professore sottolinea l’importanza di utilizzare dati e analitica per integrare i KPIs con i KPPs, permettendo alle aziende di intervenire correttivamente prima che emergano problemi.

Vermorel sostiene la distinzione tra KPIs e KPPs, evidenziando che molti direttori delle supply chain potrebbero non rendersi conto della componente predittiva nei loro KPIs. Spiega che i sistemi reali della supply chain sono spesso disordinati, con input non completamente affidabili, specialmente quando si tratta di prevedere il futuro. Vermorel promuove l’adozione dell’incertezza quando si affrontano previsioni future, poiché anche un’ipotesi ben informata può fornire preziose intuizioni per il processo decisionale.

Il Prof. Simchi-Levi utilizza un’analogia sportiva per illustrare l’importanza dei KPPs, facendo riferimento alla famosa citazione dell’hockeyista Wayne Gretzky: “Non pattino dove è il puck, pattino dove il puck sarà.” Nella gestione della supply chain, ciò significa prendere decisioni oggi per affrontare le potenziali sfide di domani, garantendo l’adattabilità e la resilienza della supply chain.

La discussione ruota attorno all’ottimizzazione della supply chain, all’accoglienza dell’incertezza, all’analisi degli scenari, e all’uso del machine learning e dell’AI nel processo decisionale della supply chain.

Il Prof. Simchi-Levi sottolinea l’importanza dell’analisi degli scenari nella gestione della supply chain. Generando più scenari basati su vari fattori, come cambiamenti nella domanda o interruzioni, le aziende possono identificare rischi nascosti e opportunità di risparmio sui costi. Tuttavia, egli riconosce le limitazioni di questo approccio, citando l’imprevedibilità degli eventi reali. Per superare queste limitazioni, suggerisce di utilizzare criteri e strumenti indipendenti da scenari specifici o informazioni sui fornitori. Fornisce esempi di concetti da lui sviluppati, come “time to recover”, “performance impact” e “time to survive”.

Sia Simchi-Levi che Vermorel concordano sull’importanza della spiegabilità nel machine learning e nell’AI per la gestione della supply chain. Sostengono che i planner della supply chain umani non si fideranno delle raccomandazioni di una macchina se non riescono a comprendere come essa abbia raggiunto le sue conclusioni. Vermorel suggerisce che un Supply Chain Scientist umano dovrebbe lavorare a fianco degli algoritmi di AI per elaborare la logica predittiva di ottimizzazione e i suoi fattori esplicativi, pur riconoscendo l’esperienza umana necessaria per un processo decisionale efficace.

Il Prof. Simchi-Levi introduce il concetto di “leggi della fisica” nel contesto della gestione della supply chain. Queste leggi sono relazioni generali tra vari fattori della supply chain che sono universalmente applicabili, indipendentemente dal settore o dalla specifica supply chain. Fornisce esempi di tali relazioni, come il legame tra safety stock, service level e la variabilità. Queste leggi possono aiutare le aziende a gestire meglio le loro supply chain comprendendo i principi sottostanti che governano le loro operazioni.

Vermorel sostiene l’idea di leggi universali nella gestione della supply chain, citando la legge di Zipf come esempio. Spiega che questa legge può essere osservata in vari aspetti dei dati della supply chain, come la distribuzione dei prodotti e la dimensione dei fornitori. La conoscenza di queste leggi può essere fondamentale per costruire strumenti, algoritmi e framework efficaci per l’ottimizzazione della supply chain.

La discussione tocca anche l’importanza della flessibilità nella gestione della supply chain. Il Prof. Simchi-Levi spiega che, sebbene la flessibilità sia essenziale, essa non venga senza costi. Le aziende devono comprendere la giusta quantità di flessibilità di cui hanno bisogno, dove investire e quali siano i suoi potenziali benefici. Utilizzando le leggi della fisica, i responsabili della supply chain possono progettare le loro supply chain per favorire la flessibilità e quantificarne l’impatto su vari aspetti, come il service level, l’inventario e il tempo di risposta.

Discutono dell’importanza di trovare un equilibrio e del compromesso economico tra flessibilità e modellazione. L’attenzione è rivolta all’instaurazione di un nucleo di teorie affidabili nella gestione della supply chain su cui basarsi. Affrontano anche la necessità di una strategia a lungo termine per evitare la costante necessità di cambiamento. Il Professor Simchi-Levi menziona quattro framework per la digitalizzazione della supply chain, inclusa una visione unificata della domanda, la segmentazione della supply chain e una pianificazione efficace. Joannes Vermorel sottolinea la complessità dei dati e l’importanza degli strumenti per estrarli e processarli. Descrive inoltre un metodo che si concentra sull’esecuzione quotidiana senza piani o previsioni. Concludono con un esempio del settore della moda e di come la previsione venga utilizzata per gestire la supply chain.

Sono state discusse le tendenze emergenti e quelle negative nell’ottimizzazione della supply chain. Il gruppo ha discusso di come la nuova normalità fatta di interruzioni e volatilità stia impattando l’industria della supply chain, e di come le aziende debbano ripensare le loro strategie di gestione. È stata inoltre esaminata l’integrazione del machine learning e dell’ottimizzazione come opportunità per un processo decisionale migliore, con l’apprendimento offline e online come componenti chiave. Tuttavia, la complessità del moderno enterprise software e la necessità di strumenti migliori per guidare le decisioni sono stati visti come tendenze negative che ostacolano le iniziative nella supply chain. Il gruppo ha concordato che le aziende devono cogliere l’opportunità di digitalizzare i loro business per affrontare le sfide e le opportunità future.

Trascrizione Completa

Nicole Zint: Nell’episodio di oggi, discutiamo questi paradigmi per l’apprendimento e l’ottimizzazione delle supply chain. Siamo onorati di essere affiancati dal Professor David Simchi-Levi. Oggi parleremo del suo lavoro e delle sue oltre 300 pubblicazioni. Professore, come sempre, vorremmo iniziare con la presentazione dei nostri ospiti. Grazie.

Prof. David Simchi-Levi: Ciao, Nicole. Ciao, Joannes. È fantastico essere qui. Sono David Simchi-Levi, e faccio parte della facoltà del MIT. Sono accademico da molto tempo, esattamente al MIT da oltre 21 anni. Ma parallelamente alla mia carriera accademica, ho avviato alcune aziende. La prima azienda era nel campo dell’analitica della supply chain, un’azienda che nel 2009 è diventata parte dell’infrastruttura tecnologica di IBM. In quel periodo, avevamo circa 350 clienti che utilizzavano la nostra tecnologia per l’ottimizzazione degli stock multi-livello, la progettazione della rete della supply chain e argomenti correlati. Nel 2011, ho avviato un’altra azienda incentrata sull’analitica aziendale. L’attenzione non era solo sulla supply chain, ma anche oltre. Questa azienda è entrata a far parte di Essential Technology nel 2016. Successivamente, ho avviato un’azienda di tecnologia cloud nel 2014, che è diventata parte di Accenture nel 2018. Attualmente, non sono legato ad alcuna azienda e mi concentro sulla mia ricerca al MIT. Al MIT, dirigo il MIT Data Science Lab. Il Data Science Lab è una collaborazione tra il MIT e circa 20-25 aziende, focalizzata sull’affrontare alcuni dei problemi più importanti e sfidanti che hanno, mettendo insieme dati, modelli e analitica. Speriamo di avere l’opportunità di parlare di alcuni degli lavori e delle opportunità entusiasmanti che vediamo oggi sul mercato.

Nicole Zint: Devo dire che è un background davvero impressionante, Professore. Inoltre, hai recentemente lanciato un corso, Demand Planning and Analytics, dove hai menzionato queste tre tecnologie emergenti: digitalization, analytics e automation. Perché sono così popolari in questo momento?

Prof. David Simchi-Levi: È interessante che tu abbia menzionato la nuova classe che abbiamo appena lanciato su demand and supply chain analytics. In questa classe, come hai sottolineato, ci concentriamo sull’integrazione di dati, analytics e automazione. Si tratta davvero dell’integrazione di queste capacità che permette alle aziende di affrontare alcune delle aree più impegnative che incontrano nel loro business. Pensa alle supply chain con lunghi lead times, al significativo aumento dei costi logistici a causa delle variazioni dei prezzi del petrolio, e alle interruzioni delle supply chain che abbiamo visto negli ultimi tre o quattro anni. Dalla guerra commerciale USA-Cina al COVID, dalla guerra in Ucraina fino al cambiamento climatico, tutto ciò ha costretto le aziende a ripensare la loro strategia di supply chain oggi.

Nicole Zint: La normalità è completamente diversa rispetto a quella di dieci anni fa. Come gestisci efficacemente la supply chain oggi? È diverso da quello che facevano le aziende cinque o dieci anni fa, e lo riassumerò con un esempio. Fino al 2020, l’industria si era concentrata molto sull’efficienza della supply chain, passando dal lean all’outsourcing fino all’offshoring. Le aziende puntavano a ridurre drasticamente i costi nella supply chain. Ma ciò che hanno osservato negli ultimi tre anni è la necessità di bilanciare l’efficienza della supply chain con la resilienza. L’efficienza è facile da misurare; ci si concentra sui costi. La resilienza non è facile da misurare. Come misuri la resilienza? Come identifichi i rischi nascosti? E tutto ruota intorno alle tendenze tecnologiche che ho appena menzionato: digitalizzazione, analytics e automazione. Quindi Joannes, cosa ne pensi di questo compromesso tra resilienza ed efficienza di cui ha parlato il professore?

Joannes Vermorel: È effettivamente un compromesso in termini economici, perché la resilienza tipicamente non è gratuita. Si tratta di costruire quelle opzioni che devi mantenere e stabilire. La cosa interessante è che sono completamente d’accordo con il Professore Simchi-Levi nel dire che è molto difficile da misurare, perché fondamentalmente si parla di una prospettiva probabilistica sul futuro. Si guarda a eventi che potrebbero o non potrebbero accadere. Ad esempio, se investi per avere una seconda linea di fornitori che per caso siano nearshore ma non li usi quest’anno, vedi il costo, ma non percepisci l’esistenza stessa dell’opzione che ti salvaguadagnerebbe nel caso ne avessi bisogno.

È interessante notare che c’è un bias di sopravvivenza ovunque. Le uniche aziende che vedi sono quelle che sono ancora in vita. Quelle che hanno commesso un errore terminale e sono scomparse non ci sono più, quindi non le vedi. Quando osservi e fai un sondaggio, mediamente vedi persone che assumono troppo rischio rispetto a quanto dovrebbero. La ragione di questo bias è che ci sono costantemente persone che hanno preso troppi rischi ed hanno abbandonato il mercato, ma quando fai un sondaggio, non fanno più parte del campione perché intervisti solo aziende attive.

Il trucco, o più che un trucco, uno dei primi paradigmi della misurazione del rischio, è avere una valutazione dei potenziali che, nella maggior parte dei casi, non si realizza ma che è comunque molto reale. Se tiri un dado e hai solo una probabilità del 3% di incorrere in un evento critico che terminerebbe la tua azienda, e lo fai ogni anno, nel corso di mezzo secolo sei quasi certo che la tua azienda scomparirà a causa di quegli eventi a lungo termine.

Nicole Zint: Le supply chain sono tipicamente state costruite su aziende dedicate, voglio dire, molto grandi. Ci sono alcune aziende che oggi sono molto grandi, come ad esempio Apple, ma anche Apple non è esattamente come una startup nuovissima. Ci sono voluti decenni per affermarsi e diventare ciò che sono. Quindi, anche per le aziende che sono cresciute in modo fantastico e veloce, per raggiungere quel livello di maturità della supply chain, stiamo parlando ancora di un processo che dura decenni. Quindi, è lento, e valutare il rischio quando si pensa in termini di periodi pluridecennali significa guardare a eventi che accadono molto raramente, dal punto di vista umano, per così dire. Ed è per questo che la prospettiva guidata dalla macchina, basata sui calcoli anziché sulla pura intuizione, diventa così importante. Joannes, puoi condividere le tue riflessioni su questo?

Joannes Vermorel: Credo che gli esseri umani siano molto bravi a percepire le cose su scala umana, mentre le supply chain tendono a divergere da questo a causa della loro complessità. Ci sono semplicemente troppe variabili, ma anche in termini di arco temporale, pensiamo davvero a eventi che potrebbero accadere una volta ogni un quarto di secolo. Eppure, se gestisci una grande supply chain, questo è il tipo di rischio a cui dovresti pensare.

David Simchi-Levi: Permettetemi di dimostrare ciò che Joannes ha sottolineato con un’osservazione chiave. Le aziende si concentrano tipicamente sui KPI. Chiedono: “Qual è la performance della mia supply chain in questo momento?” Se il livello di servizio è basso, potrebbero intervenire, ad esempio aggiungendo più inventario. Se i costi di trasporto sono elevati, potrebbero adottare misure per ridurre i costi. Questa discussione sulla resilienza, questa discussione sull’utilizzo di dati e analytics, riguarda anche l’integrazione dei KPI con ciò che io chiamo KPP - key performance predictors. Tutto potrebbe sembrare a posto nella supply chain ora, ma vorremmo prevedere quale sarà lo stato della supply chain tra sei o sette settimane. Perché se possiamo farlo e individuare un potenziale problema, possiamo risolverlo oggi prima che colpisca la supply chain tra sette settimane.

E potreste pensare, “Ehi, è possibile?” In effetti, la pandemia ci ha dimostrato che possiamo farlo in modo molto efficace. Permettetemi di illustrare questo con una storia. Il mio team presso il Data Science Lab del MIT ha lavorato sulla resilienza della supply chain molto prima della pandemia. Abbiamo sviluppato un nuovo metodo per misurare la resilienza di una supply chain per identificare i rischi nascosti. Lo abbiamo implementato in diverse aziende. La prima azienda fu la Ford Motor Company, poi altre seguirono l’esempio, ma non molte. Tutto cambiò all’inizio della pandemia.

Nel febbraio 2020, ricordate questo periodo, la pandemia colpiva la Cina. Non era in Europa, non era negli Stati Uniti, colpiva solo la Cina. Ho scritto un breve articolo utilizzando il modello e i dati a mia disposizione, impiegando il modello per la resilienza della supply chain, e ho redatto un saggio breve in cui si affermava che a metà marzo, cioè sei settimane dopo, avremmo assistito a un’interruzione delle supply chain sia in Nord America che in Europa. Ed è esattamente ciò che è successo. Quindi, la capacità di utilizzare i dati – sia quelli in tempo reale provenienti dai dati interni delle aziende, sia quelli esterni – permette alle aziende di integrare i loro KPI, key performance indicators, con i KPP, key performance predictors, ossia lo stato attuale della supply chain.

Nicole Zint: Con il key performance predictor, quale sarà lo stato della mia supply chain tra sei o otto settimane, e prendere oggi le azioni correttive prima che il problema colpisca la supply chain? È per questo che Joannes ha sottolineato, in un certo senso, l’importanza di utilizzare macchine basate su dati e analytics per avere un grande impatto sulla supply chain performance.

Prof. David Simchi-Levi: Mi piace davvero questa distinzione tra KPI e KPP. A proposito, credo che la maggior parte dei direttori della supply chain nelle aziende non si renda conto che, in realtà, una vasta maggioranza di ciò che chiamano KPI include, in un modo o nell’altro, una componente predittiva. Ad esempio, se dici che hai dei KPI relativi ai livelli di servizio, la maggior parte di questi livelli include una previsione della domanda. Quando affermi di avere questo livello di servizio o questa quantità di livello di servizio, la realtà è che, per la maggior parte degli SKU, la domanda è molto sporadica. Non esiste uno SKU per cui si possa dire: “Ho un livello di servizio del 90%”. È o presente o assente. Quello che hai, infine, è un’analisi passo-passo o un modello predittivo di qualche tipo che fornisce una stima di quale sia il livello di servizio per il tuo SKU, ma si tratta comunque di una stima. E spesso ci sono situazioni, per esempio, in cui la quantità di stock disponibile dipende da elementi per i quali gli ETA non sono completamente garantiti.

Joannes Vermorel: Quindi, avere i due concetti in modo binario è molto interessante, specialmente per rendersi conto di come, nei sistemi reali della supply chain, che sono molto disordinati e in cui vi è un sacco di input interno non del tutto affidabile, specialmente quando si tratta del futuro, esista un’area grigia molto sfumata tra i due. E molte persone, a mio avviso, hanno il problema di riporre troppa fiducia nel credere che si tratti di un’osservazione neutrale e oggettiva del passato per molti indicatori. Non lo è. E poi c’è un altro aspetto, ovvero che non appena si vuole gestire il rischio, non puoi più avere quella prospettiva ingenua di un unico futuro. Devi pensare che, quando prevedi un’interruzione in arrivo, molto probabilmente, se fossi molto cauto, diresti qualcosa tipo: “Sono sicuro all'80% che ci sarà un’interruzione a partire da al più presto otto settimane e al più tardi venti settimane,” eccetera. Ma fondamentalmente, si tratta di accettare il fatto che, non appena tocchi il futuro, le cose sono probabili ma non certe. Eppure ha valore. Non è perché esiste un grado di incertezza che dovresti dire che non esiste affatto. Avere un’ottima ipotesi, anche se è solo un’ipotesi, ha già un grande valore, e dovresti agire di conseguenza, anche se si tratta solo di probabilità.

Prof. David Simchi-Levi: Lascia che, Nicole, se me lo permetti, illustri perché le aziende devono considerare KPI e KPP con un esempio tratto dallo sport. Non ho mai giocato a hockey, ma mi piace questo sport. E se pensi a uno dei migliori giocatori di hockey in Nord America, Gretzky, egli diceva: “Non pattino dove si trova il disco; pattino dove il disco andrà.” Questo è davvero ciò di cui tratta il KPP.

Nicole Zint: Voglio prendere una decisione oggi per affrontare dove sarà la mia supply chain tra sei o sette settimane, perché se posso farlo oggi, posso riservare capacità, ridurre i costi e rispondere efficacemente a un potenziale problema che il mio sistema prevede nel prossimo futuro. Quindi, è davvero interessante che possiamo prevedere – o si suppone di poter prevedere – qualcosa che potrebbe accadere nella nostra supply chain, diciamo tra sei, sette o otto settimane. Tuttavia, in Lokad cerchiamo di abbracciare questa incertezza, e invece di dire che non possiamo prevedere esattamente cosa accadrà, vogliamo avere essenzialmente una panoramica sulla probabilità che diversi futuri si verifichino. Quindi, professore, quando dice che sa di poter prevedere qualcosa tra sei o sette settimane, come fa esattamente a saperlo? Ti concentri semplicemente su uno scenario futuro che il modello produce, o stai piuttosto abbracciando queste diverse probabilità?

Prof. David Simchi-Levi: Stiamo utilizzando una combinazione di approcci. Non esiste una strategia valida per tutti, e permettetemi di evidenziare questo, perché penso si leghi a ciò su cui si sono concentrati Joannes e tu. Un approccio è l’analisi degli scenari. Generiamo molteplici scenari; gli scenari possono essere associati a un cambiamento nella domanda, a un’interruzione presso un fornitore specifico o in una determinata regione. E con questo metodo stiamo cercando di identificare i rischi nascosti nella supply chain. Ma c’è un limite alla nostra capacità di generare scenari, e per illustrare questo basta pensare a ciò che è accaduto negli ultimi tre mesi rispetto a due anni fa. Chi avrebbe previsto ciò che vediamo ora nell’Europa orientale, giusto? Quindi, l’analisi degli scenari è molto importante, fa parte di ciò che facciamo, ma abbiamo anche bisogno di criteri e strumenti indipendenti da uno scenario specifico, per esempio, indipendenti dalle informazioni che potremmo ricevere da fornitori specifici. Questi strumenti esistono ancora e sono a disposizione delle aziende oggi. Permettetemi di illustrare questo con un esempio. Ho sviluppato alcuni concetti sulla resilienza della supply chain: uno è il Time to Recover e l’Impact on Performance; questi dipendono dallo scenario. Ma ho sviluppato anche il Time to Survive. Cos’è il Time to Survive? Il Time to Survive è completamente indipendente da uno scenario. Si analizza l’intera supply chain end-to-end, si mappa la supply chain, si sa dove si trova l’inventario e quanto ne hai, e poi rimuovi una struttura dalla supply chain e chiedi: senza quella struttura, per quanto tempo posso soddisfare la domanda? Questo non dipende dallo scenario, giusto? Data l’interruzione, ti dico per quanto tempo posso gestire l’approvvigionamento. Ciò mi permette di identificare rischi nella supply chain, ma anche opportunità di risparmio. Quando abbiamo implementato questo in diverse aziende, ci siamo resi conto che talvolta le aziende posizionano molto inventario nel posto sbagliato per il loro prodotto. Questo consente di identificare rischi nascosti e opportunità di risparmio.

Nicole Zint: L’ultimo elemento che aggiungo è che ci concentriamo molto sull’utilizzo di macchine, machine learning e ottimizzazione per prendere decisioni migliori. Ma nessuno seguirà la raccomandazione di una macchina se la macchina non è in grado di spiegare se stessa. Quindi, oltre alla capacità di generare una previsione o una decisione raccomandata, abbiamo bisogno di una spiegazione del perché tale previsione indichi che la domanda per il prodotto A crescerà significativamente nel Midwest ma non avrà successo sulla West Coast. La spiegabilità di ciò che esce dalla macchina è una parte critica di questo processo decisionale.

Joannes Vermorel: Saltando ai tuoi commenti sulla necessità che i modelli siano spiegabili, la mia osservazione informale è che i modelli numerici, anche quelli semi-triviali come la regressione lineare con un paio di coefficienti, sono per loro natura molto opachi. È un dato di fatto: non appena ci sono numeri, i computer sono così bravi a fare calcoli rispetto alle persone che non bastano molti numeri per ottenere qualcosa di completamente indecifrabile per l’osservatore umano medio.

Ed l’approccio tipico è che un numero che ha senso in termini di spiegazione tende ad essere incredibilmente dipendente dal contesto. È molto allettante produrre semplicemente un muro di metriche con milioni di numeri che puoi ottenere proiettando i tuoi dati in ogni sorta di direzione. È molto facile farlo con i computer moderni, ma i tuoi pianificatori della supply chain hanno un tempo limitato per farlo.

Pertanto, l’approccio che Lokad adotta si basa su un processo nel quale, a livello algoritmico, sarà relativamente semplice per ciò che chiamiamo il Supply Chain Scientist (che è come un data scientist specializzato in supply chain) elaborare sia la logica di ottimizzazione predittiva che i relativi fattori esplicativi. Ma c’è un problema: non mi aspetto che l’AI o ricette sofisticate di machine learning siano in grado di svolgere questo lavoro. Adotto invece un approccio paradigmatico, in cui affermo di disporre di classi di algoritmi per le quali so che un Supply Chain Scientist, con la sua intelligenza umana, può compiere quel miglio in più nel cosiddetto white boxing.

Questo permette loro di elaborare tipi di metriche che avranno senso per il management della supply chain in generale, in modo da poter comprendere cosa sta accadendo. Ma c’è un ingrediente molto umano in questo, ovvero avere qualcuno che essenzialmente crea i numeri affinché tu possa selezionare alcuni KPI. I tuoi numeri, non solo i KPI, possono essere TPP secondo la tua definizione, ma sono accuratamente selezionati. L’unico trucco magico è disporre di un metodo algoritmico che si presta molto bene a questo tipo di decomposizione approfondita di ciò che sta accadendo.

Prof. David Simchi-Levi: Corretto, e posso evidenziare perché ciò è così importante con un esempio dell’implementazione di quella che chiamo una visione unificata.

Nicole Zint: Nel settore della domanda in una grande CPG, quando implementi questo, inizi a ricevere telefonate, tipicamente dal gruppo finanziario. Le telefonate sono di tre tipi. Il primo consiste nel dire, “Ehi, data scientist, ehi, Tim, non capiamo perché il tuo focus suggerisca che questo prodotto o questa famiglia crescerà incredibilmente bene in una regione, ma non andrà bene in un’altra,” giusto? Fa parte della spiegabilità.

David Simchi-Levi: La seconda parte è ancora più impegnativa. Ricevi un’altra telefonata, e le persone della finanza dicono, “Non capiamo, ci hai appena fornito una previsione, dato che ne diamo una ogni settimana per le prossime 80 settimane. La previsione che ci hai dato oggi è diversa da quella fornita quattro settimane fa. Che cosa sta succedendo? Il mondo non è cambiato.”

David Simchi-Levi: Il terzo è, “Ehi, un mese fa ci hai fornito una previsione riguardo la domanda odierna, ma è abbastanza diversa. Se non riusciamo ad affrontare queste tre sfide, nessuno si fiderà di una black box che produce previsioni settimana dopo settimana per ogni prodotto. Ecco perché è così importante riconoscere che ciò che state facendo nella vostra azienda, quello che il mio team al MIT Data Science Lab sta facendo, non è solo scienza. Per essere efficace, richiede la combinazione di scienza e arte. La scienza è la macchina e i dati nell’analitica; l’arte è l’intuizione, il sesto senso, l’esperienza che le persone, in questo caso nella supply chain, possiedono. È una combinazione dei due. Ma se non possiamo dialogare con la macchina per capire cosa stia dicendo, sarà difficile per gli umani seguire le raccomandazioni che essa produce.

Nicole Zint: Quindi, Professore, prima di arrivare alle domande principali sui paradigmi emergenti che abbiamo, vorrei solo chiederle: ha anche menzionato queste “leggi della fisica” nel suo corso, applicabili ai professionisti della supply chain e alle aziende. Ma cosa intende per “leggi della fisica” in prospettiva supply chain?

David Simchi-Levi: Per me, le “leggi della fisica” sono relazioni generali tra informazione, capacità, livello di servizio e relazioni d’inventario che sono sempre vere, indipendentemente dal fatto che si tratti di una supply chain regionale o globale, o che ci si concentri su alta tecnologia, CPG o farmaceutico.

Nicole Zint: Potrebbe fare un esempio di una di quelle relazioni che ha appena menzionato?

David Simchi-Levi: Una relazione tra inventario, safety stock, livello di servizio e variabilità. Sappiamo come quantificare la relazione tra i tre: safety stock o inventario, variabilità e livello di servizio. Una volta compresa la relazione tra di essi, puoi capire come gestire meglio la tua supply chain.

David Simchi-Levi: Un altro esempio è la relazione tra il livello di informazione e la quantità di volatilità che si avrà nella supply chain. Una volta compreso ciò, puoi renderti conto di quanto la visibilità e la condivisione delle informazioni possano permetterci di ridurre la volatilità. E qual è la relazione tra volatilità e vendite perse? Se la comprendi, realizzi: “Oh, devo ridurre…”

Nicole Zint: Come posso gestire la volatilità per aumentare il mio livello di servizio e ridurre le vendite perse?

Prof. David Simchi-Levi: Un modo per ridurre la volatilità è tramite la condivisione delle informazioni. Nel mio libro, la cui quarta edizione è stata pubblicata a settembre dello scorso anno, discuto di circa 40 o 50 tipi di “leggi della fisica” che permettono alle aziende di identificare opportunità nel loro business. Queste sono relazioni globali, ed è per questo che le chiamo leggi della fisica.

Pensa a ciò che abbiamo imparato nelle lezioni di fisica al liceo o all’università. L’idea è che esistono alcune relazioni fondamentali nel business che definiscono una sorta di misurazione quantitativa delle diverse parti. Ci sono situazioni in cui puoi formulare equazioni che saranno sempre vere, come le quattro equazioni di Maxwell in fisica. Non dipende da una situazione particolare.

Joannes Vermorel: Quindi, sostanzialmente, le supply chain non riguardano interamente la poesia. Esistono relazioni fondamentali nel business che definiscono una sorta di misurazione quantitativa delle diverse parti. Ad esempio, nella mia serie di lezioni, sottolineo che praticamente ogni distribuzione osservata nella supply chain segue una legge di Zipf. Dai prodotti a più alto volume fino alla long tail, si ottiene una legge di Zipf. Lo stesso vale per i fornitori, dai più grandi ai più piccoli, e così via.

Questa teoria può essere messa in discussione in senso scientifico, ad esempio interrogandosi se sia la migliore teoria per spiegare il mondo o se esistano situazioni che contraddicono la teoria generale. Tuttavia, non è materia di dibattito nel senso che puoi semplicemente scegliere di non crederci in base al tuo specifico settore.

La cosa interessante è che, quando si dispongono di queste fondamenta matematiche per classi di fenomeni, esse risultano incredibilmente potenti per costruire strumenti, algoritmi e framework. In Lokad, utilizziamo tutto ciò in maniera estensiva. Ad esempio, la distribuzione di Zipf ha la conseguenza che puoi comprimere enormemente i dati della supply chain, dato che la maggior parte delle tue righe è garantita essere costituita da zeri o da uni, rendendole idonee alla compressione.

Un altro esempio è che puoi effettivamente superare l’algoritmo quicksort per quanto riguarda l’ordinamento. Puoi essere più veloce dell’ottimo teorico semplicemente a causa della bassa cardinalità di ciò che devi risolvere. Ci sono molte cose importanti in termini di design software e anche nella progettazione delle teorie della supply chain basate su queste fondamenta matematiche.

Nicole Zint: Quindi, siamo qui oggi con Joannes Vermorel e il Professor David Simchi-Levi per parlare di ottimizzazione della supply chain. Joannes, parli spesso dell’importanza della flessibilità nelle supply chain. Puoi approfondire un po’ questo tema?

Joannes Vermorel: Questo dà vita al concetto, se me lo permette. Tutti comprendono i concetti, l’idea di flessibilità. Tutti sanno che maggiore flessibilità è migliore rispetto a meno flessibilità, ma la flessibilità non è gratuita. Quanta flessibilità mi serve? In cosa dovrei investire per ottenere flessibilità, e quali sono i benefici potenziali della flessibilità? Queste sono domande chiave a cui rispondere. Ma oltre a ciò, la domanda è: come definisco la flessibilità? Una volta che hai una definizione precisa di flessibilità, per esempio, la capacità di rispondere al cambiamento – e il cambiamento può manifestarsi in molti modi, come il variare del volume della domanda, il mix della domanda, o una interruzione – sai esattamente come progettare una supply chain per essere flessibile. Questi concetti derivano dalle leggi della fisica, e una volta che lo sai, puoi quantificare qual è l’impatto sul tuo livello di servizio, sull’inventario, e sui tempi di risposta. Questo viene sfruttato dalle aziende nel settore automobilistico, nel settore del consumer package, utilizzando le leggi della fisica per ripensare il grado, il livello di flessibilità nella supply chain. Lo stesso vale per la ridondanza, lo stesso vale per la resilienza. Ecco perché le leggi della fisica sono così importanti.

Nicole Zint: È piuttosto interessante che tu abbia menzionato la flessibilità, perché spesso vediamo che quando le aziende devono prendere decisioni su mantenere un determinato prodotto nel loro magazzino centrale warehouse o in magazzini più locali, si crea sostanzialmente questo equilibrio o compromesso tra l’essere più flessibili, come nel caso del DC centrale, e offrire un servizio migliore ai clienti, perché ricevono il prodotto più rapidamente.

David Simchi-Levi: Quindi sì, in effetti, si tratta di trovare questo tipo di equilibrio perfetto. Ma penso che il punto che Joannes sottolinea in modo specifico è che non si tratta solo di trovare l’equilibrio – che in un certo senso è scontato – ma di riconoscere che esiste un trade-off, un compromesso economico costante legato alla flessibilità, che può essere modellato e su cui fare affidamento per ottimizzare in ogni situazione. Vedi, questo è ciò che intende; credo che questo sia il soprannome per le leggi della fisica. Questa è la legge di quelle che definirei supply chain fisiche. Sai, è come un’abbreviazione per questo concetto. Esistono delle fondamenta che sono state stabilite. Non sono naturalmente complete; non sono naturalmente definitive, ma ci sono. Ed è importante avvicinarsi a queste supply chain con una mentalità in cui non tutto è, diciamo, aperto al dibattito. Vedi, questo è l’essenza di questo approccio della fisica. Quando le persone dicono che abbiamo l’equazione per l’elettromagnetismo, sanno che ci riferiamo essenzialmente alle quattro equazioni di Maxwell – non ci fermiamo a Maxwell, ma insomma, le quattro equazioni dell’elettromagnetismo. Puoi cercare di confutarle, ma intanto, tutti fanno elettromagnetismo, considerando queste equazioni come sempre vere. Non si tratta di un’opzione. Le persone non dicono che sia naturalmente impossibile trovare una situazione in cui possano sbagliare. Questo non è scienza. Si tratta di scoprire il flusso nel tuo modello, e noi approfondiamo ulteriormente. Ma il punto è che penso sia molto interessante stabilire, direi, un nucleo.

Nicole Zint: Quindi Joannes, potresti parlarci delle teorie su cui ti basi per costruire un approccio quantitativo che funzioni per l’ottimizzazione della supply chain?

Joannes Vermorel: Esistono due teorie, in senso scientifico, su cui ci si può affidare per costruire ulteriormente. Sai, invece di limitarsi ad opinioni e dibattiti. Perché il problema è che, senza queste basi, diventa molto difficile avere un approccio quantitativo che non sia accidentale. Vuoi avere un metodo con il potenziale di funzionare sempre in ogni azienda. Questo è l’apice della generalità. Ma se disponi di fondamenta molto solide, puoi arrivare sempre più vicino a questo ideale. Credo che lì risieda il vero interesse.

Nicole Zint: Quindi è interessante che lei dica di trovare una soluzione che possa funzionare per molti problemi diversi, non solo per uno. E in effetti, Professore, è qualcosa che abbiamo notato anche nelle sue pubblicazioni. Parla spesso non solo di un singolo algoritmo o di una soluzione, ma di un framework che possa essere applicabile a tipologie completamente diverse di problemi. Perché, esattamente, si è concentrato su questo invece che fornire semplici moduli?

Prof. David Simchi-Levi: Beh, probabilmente è molto ovvio, ma allo stesso tempo notiamo che non è comune che le persone si concentrino sul framework. Spesso si trova sempre una singola soluzione. Ma poi, quando la supply chain cambia – e, come hai menzionato, dato che il mondo è in continuo cambiamento – allora restiamo bloccati. Quindi dobbiamo rifare il problema ancora e ancora. E infatti, in Lokad ci concentriamo esattamente su questo: trovare un approccio risolutivo ai problemi piuttosto che una singola soluzione applicabile solo nel momento attuale.

Nicole Zint: Professore, potrebbe anche rispondere alla domanda sul perché si concentra sui framework?

Prof. David Simchi-Levi: Nella descrizione del focus della mia ricerca, gran parte dell’attenzione è assicurarsi che esista una strategia a lungo termine per la supply chain, in modo da non doverla cambiare ogni settimana o ogni giorno a causa di una recente interruzione o variazione della domanda. E forse metterò in luce questo con il lavoro che ho svolto sulla digitalizzazione della supply chain. Quali sono i framework che abbiamo identificato nella digitalizzazione della supply chain che permettono alle aziende di ottenere la maggior parte dei benefici della digitalizzazione totale senza dover investire quattro o cinque anni in una digital supply chain? E illustrerò quattro framework. Il primo, che ho menzionato precedentemente, è la visione unificata della domanda, che sostituisce il consensus forecast. Il consensus forecast è stato utilizzato da dirigenti e dall’industria per molti, molti anni. La finanza produrrà la propria previsione. Le operazioni ne avranno una propria. Le vendite, un’altra. E poi si riuniscono in una riunione di consenso per accordarsi su un compromesso, il cui grado di rappresentatività della realtà non è sempre chiaro. Quello che si vuole fare, cioè il framework su cui mi concentro, è concordare sui dati. Una volta ottenuti i dati, vorrei che l’analitica e la macchina generassero una previsione utilizzabile dalle diverse aree funzionali. Questo è il primo.

Nicole Zint: Potrebbe parlarci del framework che utilizza per l’ottimizzazione della supply chain?

Prof. David Simchi-Levi: Certo, quindi il framework che usiamo si basa sull’idea che una strategia one-size-fits-all non sia appropriata per la maggior parte delle aziende. Se osservate ciò che fanno la maggior parte delle aziende, hanno una strategia unica in tutti i canali, in tutti i mercati e per tutti i prodotti. Ciò che enfatizziamo è la segmentazione della supply chain, segmentare i prodotti, segmentare i mercati e segmentare i canali. Questo consente alle aziende di affinare la strategia della supply chain per ogni cluster, per ogni gruppo, e di conseguenza di essere più reattive a seconda delle caratteristiche di ogni segmento. Il terzo elemento in questo framework è concentrarsi sul SNOP (Sales and Operations Planning) che utilizza dati e analisi per aiutare le aziende a individuare un piano efficace. L’ultimo consiste nel riconoscere che per quanto il piano sia efficace, ci saranno sempre deviazioni dallo stesso, come interruzioni nella supply e variazioni della domanda. Se riesco a identificare queste interruzioni e deviazioni in anticipo, posso rispondere in modo molto efficace. Questo fa parte dei KPP (Key Performance Parameters) e della control tower, su cui sono sicuro che la vostra azienda si stia concentrando con molti dei vostri clienti.

Nicole Zint: Joannes, cosa pensi di ciò che dice il Professor Simchi-Levi, specialmente riguardo a questo processo SNOP, che anche Lokad possiede?

Joannes Vermorel: Sì, um, ma non è, direi, un approccio diverso. A causa del nostro focus e della nostra origine, guardiamo il problema da una prospettiva leggermente diversa. Ciò non significa che siamo in disaccordo. La prima cosa che noto è che, innanzitutto, non osserviamo mai la supply chain direttamente, per cui quando, ad esempio, parliamo di domanda, c’è l’intermediazione dei sistemi aziendali, che possono essere molto complessi. Un tipico ERP che ha tre decenni è vecchio di tre decenni, e parleremo di 2000 tabelle. Ogni tabella contiene qualcosa come 50-200 campi, e poi, se si tratta di una multinazionale, ci si può ritrovare in una situazione semi-da incubo in cui c’è un ERP diverso per ogni paese, per esempio 40 paesi. Quindi, innanzitutto, il segnale in ingresso è incredibilmente complesso nel senso della pura complessità IT, da non sottovalutare. Esiste, perciò, questa barriera: anche se tutti i dati sono presenti, anche se i dati sono corretti, non sono spazzatura, sono dati transazionali molto puliti. Il problema è semplicemente che è estremamente complesso, perché tutti i sistemi non sono mai stati pensati per misurare la domanda; sono stati pensati per gestire le supply chain. Quindi, prima di tutto, abbiamo questa, direi, brutale opacità del panorama applicativo. La seconda cosa che osserviamo è che quella che definiamo domanda, quando si inizia a guardare alle industrie reali, si rivela essere molto più granulare. Per esempio, supponiamo di avere un’azienda che vende materiali elettrici a clienti B2B. La realtà è che l’ordine che ricevono è: hanno un cliente che vuole costruire un edificio e quindi passeranno un grande ordine con potenzialmente migliaia di referenze di prodotto, programmando addirittura la consegna. Diranno, “Vogliamo che tra nove mesi venga consegnato tutto questo, ma per le prime 500 referenze desideriamo che la consegna avvenga tra tre mesi, poi per le successive 500 tra quattro mesi, ecc.”

Nicole Zint: Quindi, Joannes, potresti parlarci di come affronti il problema delle previsioni della domanda e quali sono le sfide che lo accompagnano?

Joannes Vermorel: Sì, la granularità della domanda può essere davvero complicata. Per esempio, se hai un grande ordine batch che richiede consegne programmate su un periodo di sei mesi, come conti la domanda? La conteggi al momento in cui si origina o al momento della consegna? Ovviamente, ci sono moltissime complessità. Quello che intendo dire è che, quando parliamo di “domanda”, non si tratta di qualcosa di unidimensionale con una prospettiva di serie-temporali supply chain alla quale ci si può proiettare. Di solito, si tratta di un problema molto multidimensionale, che può essere ulteriormente complicato dal fatto che se introduci un nuovo tipo di prodotto che sostituisce la vecchia generazione, si verificheranno effetti di cannibalizzazione molto aggressivi, semplicemente perché è letteralmente la tua tecnologia superiore a cannibalizzare la tecnologia precedente dei tuoi prodotti. Quindi, i prodotti sono tipicamente molto simili, e la tua nuova generazione è un sostituto migliore e completo di tutto ciò che c’era prima.

David Simchi-Levi: Sì, ed è per questo che è fondamentale disporre degli strumenti giusti e di un Supply Chain Scientist ben addestrato per affrontare questa sfida. SQL è un linguaggio di programmazione usato per estrarre dati, ma abbiamo bisogno di strumenti migliori per dare un senso alla vasta quantità di dati che dobbiamo gestire.

Joannes Vermorel: Esattamente. Da Lokad, il nostro focus è stato pensare a che tipo di strumenti necessitano i nostri Supply Chain Scientists. Non abbiamo alcuna IA che possa semplicemente prendere i dati e darci previsioni sulla domanda. Abbiamo bisogno dell’intelligenza umana per interpretare i dati. Una domanda che ci poniamo è: che tipo di strumenti hanno? Usano SQL o qualcosa di migliore?

Nicole Zint: E quanto al piano? Come lo affronti?

Joannes Vermorel: Beh, Lokad è un’azienda molto operativa e ci concentriamo sull’esecuzione quotidiana delle supply chain. Quello che facciamo al giorno d’oggi è far scomparire completamente il piano. Non ci sono più piani, non ci sono più previsioni. O, perlomeno, queste cose esistono ancora come artefatti numerici, ma sono completamente transitori e sepolti nel pipeline di estrazione dati. Gli unici effetti visibili sono le decisioni finali. Per esempio, cosa acquisti? Cosa produci? Dove sposti lo stock? Alzi o abbassi il prezzo? Quindi, se c’è un’interruzione proveniente dalla Cina, quello rappresenta un input, ma il fatto che modifichi il piano è irrilevante. L’unica cosa che le persone vedranno sono decisioni orientate in maniera leggermente diversa. E se osservano le forze trainanti in dollari o euro, noteranno che i rischi espressi in dollari per determinate categorie di rischio sono esplosi a causa di queste nuove informazioni.

Nicole Zint: Quindi, Joannes, cosa ne pensi dell’impatto delle interruzioni sulla supply chain?

Joannes Vermorel: Beh, le interruzioni nella supply chain possono causare rischi seri per i fornitori offshore. Possono far lievitare il rischio associato e deviare tutte le decisioni a loro sfavore. Tuttavia, per la maggior parte delle aziende, la previsione e il piano diventano artefatti numerici piuttosto irrilevanti. Voglio dire, esistono molti altri artefatti numerici che non sono considerati di prima categoria e che non catturano l’interesse dell’azienda. Probabilmente devo approfondire meglio ciò che state facendo per poter commentare in modo più sostanziale quanto descritto.

Prof. David Simchi-Levi: Le aziende con cui ho collaborato affrontano sfide in diverse parti della supply chain che possono implicare un diverso modo di pensare riguardo alla pianificazione e alle previsioni. Permettetemi di fare un esempio molto rapido: se si pensa al retail della moda, una parte del portafoglio è un portafoglio che in ogni caso non posso prevedere. Possiamo generare una previsione, ma è così inaffidabile che la supply chain si concentra esclusivamente sulla velocità. Ma ci sono altre parti del loro portafoglio in cui posso prevedere molto bene, e questa previsione viene utilizzata per gestire interamente la supply chain. Può darsi che molti dirigenti della supply chain non vedano la previsione, ma essa viene usata per determinare dove posizionare l’inventario, quale quantità di inventario mantenere, come rispondere agli ordini. Tuttavia, nella prima parte, non solo la previsione è nascosta, ma in realtà non esiste, perché è così inaffidabile, e la supply chain si concentra prevalentemente sulla velocità. In quella parte, penso che il tuo punto sia leggermente diverso, un po’ più profondo, nel senso che anche se hai una previsione e un piano, ciò che vuoi dimostrare ai decisori è soltanto l’esito di un evento specifico, piuttosto che ciò che contribuisce all’esito, ovvero la previsione o il piano. Ora, un elemento importante è se un decisore umano si sentirà a suo agio a osservare solo l’esito senza comprendere cosa lo abbia determinato, che sia il piano stesso o la previsione. Ma ho sicuramente bisogno di ulteriori dettagli su ciò che state facendo per identificare l’opportunità potenziale in quest’area.

Nicole Zint: David, quali algoritmi emergenti vedi al momento nell’apprendimento e nell’ottimizzazione della supply chain, e quali tendenze negative vedi diventare altrettanto popolari?

Prof. David Simchi-Levi: Penso, inizierò con la seconda parte, che riguarda la tendenza negativa. La tendenza negativa relativa all’impatto delle interruzioni e della volatilità che osserviamo nel mercato sarà con noi per molti anni a venire. Questo è il nuovo normale, e di conseguenza le aziende devono ripensare il proprio modus operandi…

Nicole Zint: Joannes, stavi parlando di alcune tendenze negative che stanno impattando i clienti. Potresti approfondire il discorso?

Joannes Vermorel: Sì, certamente. Dal mio punto di vista, ci sono due problemi che stanno impattando i clienti. Il primo problema è che il software aziendale moderno è incredibilmente stratificato. Ci sono strati su strati, e i dati scorrono da uno strato all’altro. Per i sistemi moderni si parla facilmente di oltre 100 strati attraverso cui i dati scorrono. La data science ne aggiunge altri oltre 20. Per darvi un’idea, quando dite di voler fare data science in Python, in realtà non fate tutto in Python. Ci sono strati realizzati in Pandas, strati in NumPy, strati all’interno di kit e così via. Molte aziende stanno lottando enormemente con il fatto che, nel corso degli ultimi decenni, i sistemi siano diventati così stratificati che ogni singolo strato rappresenta un’opportunità per avere bug, regressioni e ogni sorta di imprevisti. Questo sta ostacolando tutte le iniziative della supply chain in modo molto brutale e semplice. Cercano di fare qualcosa, e alla fine della giornata non riescono nemmeno a determinare correttamente il livello di stock solo perché l’IA scorre attraverso oltre 50 sistemi, ed è veramente complicato.

Prof. David Simchi-Levi: Posso aggiungere qualcosa a questo? L’implicazione di ciò che Joannes sta dicendo è che la qualità di ciò che le persone fanno ne risente.

Joannes Vermorel: Sì, esatto. Il secondo problema che vedo è che alcune tecniche di machine learning, come il deep learning, sono incredibilmente tecniche e aggiungono i loro strati sopra i già esistenti. Questo diventa molto difficile da implementare. Certamente, le aziende molto grandi riescono a farlo, ma è estremamente complicato. Per questo vedo emergere nuove classi di paradigmi algoritmici che ci permettono di eliminare intere classi di strati, fondendo ad esempio l’apprendimento e l’ottimizzazione con il livello del database in un unico passaggio. Si rimuovono intere classi di strati in modo che qualunque cosa si voglia fare in termini di supply chain, si possa realmente fare su larga scala con i sistemi IT senza introdurre troppo caos. La realtà è che, se torno al motivo per cui le aziende impiegano così tanti anni per portare a termine le proprie operazioni, molto spesso non è il semplice e sofisticato elemento del machine learning a richiedere tanto tempo, né la parte algoritmica molto intelligente del sistema che richiede così tanto sforzo. È tutto ciò che viene prima e tutto ciò che viene dopo, che sono integrati in maniera molto debole, e si finisce per…

Nicole Zint: Scusa l’interruzione, ma puoi chiarire cosa intendi per “tutto ciò che viene prima e dopo”?

Joannes Vermorel: Sì, certo. Prima della parte sofisticata del machine learning, è necessario disporre di pipeline di dati appropriate, di database adeguati e di un corretto processo di pulizia dei dati. Dopo il machine learning, occorre avere modalità adeguate per integrare l’output ottenuto nel sistema ERP, nel sistema di gestione degli ordini o nel sistema WMS. Tutti questi elementi devono essere ben integrati, ed è qui che risiede la sfida.

Nicole Zint: Quindi Joannes, puoi parlarci della complessità dell’ottimizzazione della supply chain in termini di dati?

Joannes Vermorel: Direi che le pipeline di dati sono estremamente complicate. In effetti, la complessità della logistica dei dati supera quella della logistica delle merci fisiche. È come l’approccio vintage di un fornitore di software. Ma al momento, la mia osservazione è che le aziende che insisteranno su soluzioni che faranno lievitare la complessità IT, in risposta agli eventi drammatici degli ultimi due anni, non renderanno la loro supply chain più resiliente se, alla fine, introdurranno un’altra classe di rischio tramite complicazioni super complesse. Oggigiorno, vedo sempre più aziende che si fermano a causa di un problema IT, che può essere un ransomware, ma a volte sono semplicemente bug interni.

Nicole Zint: E Professor Simchi-Levi, come pensi che la tecnologia possa essere utilizzata per migliorare l’ottimizzazione della supply chain?

Prof. David Simchi-Levi: Se avessimo parlato, prima della pandemia, delle opportunità di utilizzare la tecnologia, il machine learning e l’ottimizzazione per migliorare le performance aziendali e la supply chain, le persone sarebbero d’accordo. Tuttavia, i dirigenti sarebbero stati molto riluttanti a investire nella digitalizzazione della supply chain, nel digitalizzare l’inter supply chain. Non perché non riescano a vedere il beneficio—infatti, lo capiscono—ma perché temono l’enorme investimento finanziario e il lungo tempo necessario per ottenere il beneficio che intendono raggiungere. Ciò che la pandemia ci ha dimostrato è che il futuro è qui, che oggi, con i dati disponibili, possiamo essere più agili e resilienti nelle nostre supply chain.

Joannes Vermorel: Se vogliamo fare di più, soprattutto per essere intelligenti in termini di concetti complessi come resilienza e gestione del rischio, che non si prestano a misurazioni dirette, abbiamo bisogno di strumenti capaci di farlo. Ma non dovremmo sviluppare soluzioni che possano essere effettivamente implementate e messe in produzione in un tempo relativamente breve, e questa è davvero una sfida. La questione è che, al momento, lo strumento universale per portare una decisione in produzione in 48 ore è Microsoft Excel. E se avessimo letteralmente qualcosa che possiede tutte le caratteristiche che le persone cercano in Excel, ossia uno strumento decisionale che puoi utilizzare per gestire una supply chain multimiliardaria e prendere la decisione che deve essere presa ora, con una correttezza superiore per design, quella sarebbe una modalità di approccio. Questa è sicuramente l’orientazione di ricerca che perseguiamo.

Nicole Zint: Professore Simchi-Levi, può commentare ciò che Joannes ha appena detto?

Prof. David Simchi-Levi: Lasciate che approfondisca quanto detto da Joannes e lo colleghi alle sfide della supply chain e alle sfide IT odierne.

Nicole Zint: Quindi, Joannes, secondo te, quanto è importante la digitalizzazione della supply chain, e in che modo può beneficiare le aziende?

Joannes Vermorel: Con la tecnologia a nostra disposizione, possiamo migliorare in modo significativo le prestazioni aziendali. Potremmo non essere in grado di ottenere tutti i benefici della digitalizzazione completa della supply chain, ma con un investimento finanziario moderato e in un periodo di tempo relativamente breve, le aziende possono avere un impatto enorme sul risultato finale. Per questo, a mio avviso, nonostante tutte le sfide che abbiamo affrontato, esiste una tendenza positiva importante. Ci rendiamo conto che il futuro, o meglio la realtà, è già qui, e le aziende che stanno pensando a come procedere devono cogliere questa opportunità per iniziare a trasformare e digitalizzare parte del loro business, per poter affrontare non le sfide di ieri, ma quelle e le opportunità di domani.

Nicole Zint: Professore, è d’accordo con la visione di Joannes sull’importanza della digitalizzazione della supply chain?

Prof. David Simchi-Levi: Assolutamente, sono completamente d’accordo con Joannes. I benefici della digitalizzazione della supply chain sono significativi, e le aziende che non la adotteranno resteranno indietro. Stiamo vedendo aziende in tutti i settori adottare la digitalizzazione e raccogliere i benefici. Dall’ottimizzazione dei livelli di inventario alla riduzione dei tempi di consegna, la digitalizzazione della supply chain ha il potenziale di trasformare le imprese.

Nicole Zint: E può fornirci un esempio di un’azienda che ha implementato con successo la digitalizzazione della supply chain?

Prof. David Simchi-Levi: Certo, un ottimo esempio è Walmart. Walmart è uno dei più grandi rivenditori al mondo e è riuscito a sfruttare la digitalizzazione della supply chain per ridurre i costi operativi e migliorare il risultato finale. Utilizzando analisi dei dati e algoritmi di machine learning, Walmart è riuscito a ottimizzare i livelli di inventario, ridurre gli sprechi e migliorare i tempi di consegna.

Nicole Zint: Grazie, Professore, per quell’esempio. E grazie a entrambi per esservi uniti a me oggi per questa discussione così interessante sulla digitalizzazione della supply chain.